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Mercoledì 16 luglio 2025, 09:35 ·
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venerdì, 1 luglio 2016

L’INTERVISTA – FABIO PARISI: IL FUTURO DEL CALCIO ITALIANO E’ DOMENICO BERARDI

di Nestore Morosini

Fabio Parisi nel suo studio

 

Fabio Parisi e Oscar Damiani sono procuratori, soci da tanto tempo. Oggi, come spiega Parisi, si occupano preferibilmente di giovani calciatori, 17-19 anni. “Ciò perché – dice Parisi – in questo settore la consulenza con le società è più proficua anche se in Italia le difficoltà per farli emergere non sono poche”.

 

Nestore Morosini

Nestore Morosini

Di quali difficoltà sta parlando?

 

Della difficoltà di far giocare un giovane di 18 o 19 anni in prima squadra. In Belgio oppure nei Paesi nordici se un ragazzo vale viene inserito immediatamente in prima squadra e gioca. Così germogliano i campioni. Da noi, i pochi giovani che fanno il salto dalla formazione Primavera alla serie A hanno come motivazione principale quella dei soldi che una società può ricavarne. E ciò anche per la pressione che viene esercitata sugli allenatori dalle società e dal pubblico che vuole solo veder vincere e, di conseguenza, rende difficile la strada a un giovane anche promettente.

 

E’ solo una questione di guadagni, quindi?

 

Non solo delle società. C’è anche un altro fatto importante. I settori giovanili delle squadre non hanno più allenatori né istruttori che restano a insegnare calcio. Chi addestra i giovani lo fa con una sola mira: entrare nel campo dei tecnici professionisti, Brocchi e Inzaghi insegnano. Allora, se un giovane debutta in prima squadra e la squadra vince allora va bene, altrimenti l’allenatore o l’istruttore vengono considerati dei falliti. Io, personalmente, preferirei un tecnico di magari non vince scudetto o coppa Italia primavera ma mi dà giocatori in grado di ben figurare in prima squadra, piuttosto di uno che con la Primavera vince tutto e poi mi da giocatori che nella massima categoria falliscono.

 

Un esempio di buon settore giovanile?

 

Il Chievo per me è il migliore. Ma ce ne sono anche altri.

 

 Cosa manca all’Italia per risalire la corrente?

 

Manca una vera governance della Lega che oggi conta poco perché dominata da quattro o cinque squadre che gestiscono tutto. Guardiamo all’estero quanto invece le cose sono floride. Dico io: se ad esempio sono a Milano e perdo soldi e poi vedo che a Torino i soldi si fanno, allora perché non devo fare come a Torino? Guardiamo la Premier League. Le società fanno soldi a palate perché sono ben organizzate, i capitali vengono gestiti oculatamente in modo che diano ricavi eccellenti. Da noi è il sistema che va cambiato in modo che il pubblico in televisione non veda quattro volte Inter-Milan o Juve-Milan ma abbia anche per un paio di volte anche Roma-Crotone. E poi in Italia c’è un caso di difficile soluzione, quello che riguarda le seconde squadre.

 

Che tipo di caso?

 

In Inghilterra, in Germania, in Olanda essere proprietari di una seconda squadra funziona, da noi non se ne vuole sentir parlare. Solo Lotito è d’accordo perché è proprietario della Salernitana. Se le società più grosse avessere una squadra nelle categorie inferiroi, i giovani giocatori avrebbero un terreno fertilissimo in cui farsi le ossa fino ad essere pronti per la prima squadra. In tal modo le società non spenderebbero ma guadagnerebbero, perché avrebbero in casa quel che invece, oggi, vanno a comprare fuori.

 

 In serie A ci sono giovani calciatori promettenti?

 

Direi Berardi, Bernardeschi, Calabria.

 

Domenico Berardi

Domenico Berardi

Parisi: fammi, però, il nome del calciatore italiano che ha più futuro.

 

Io dico Domenico Berardi. Oltre ad avere doti tecniche notevoli è un ragazzo che sa gestire la propria carriera, nonostante non abbia ancora compiuto i ventun anni. Ha un carattere particolare, è vero, e ha i suoi comportamenti per cui talvolta in campo esagera un po’ e viene espulso. Ora di Berardi devo capire se ha paura oppure se è saggio.

 

Parli del fatto che Berardi potrebbe restare al Sassuolo oppure trasferirsi in una grande squadra?

 

Sì. Non ho capito ancora quale delle due opzioni sta tenendo in piedi. E cioè se ha paura di passare a una grande squadra, come ad esempio la Juve, dove correrebbe il rischio di restare in panchina, com’è capitato a Zaza. Perché un conto è il Sassuolo, dove il suo allenatore Di Francesco lo fa giocare da titolare fisso; un conto è andare alla Juve dove i titolari sono Dybala e Mandzukic e dove, magari, dovrebbe cambiare il suo modo di pensare e di agire. Però le titubanze di Berardi potrebbero anche essere atti di saggezza, cioè il voler restare per fare ancora esperienza e presentarsi, poi, in alto con tutte le proprie qualità conosciute.

 

 Però, caro Parisi, se Berardi andasse all’Inter giocherebbe sempre.

Questo è vero, ma anche in questo caso le riflessioni che sta facendo in questo momento Domenico Berardi mi inducono a pensare alla saggezza, nei termini che ti ho esposto, oppure alla paura. Perché un conto è entrare al Mapei Stadium di Reggio Emilia un altro è scendere a San Siro con 80 mila spettatori sugli spalti, dove anche un giocatore di esperienza si può trovare a vivere momenti particolarmente ansiosi. E poi, come ti dicevo, una casa è vivere a Sassuolo con un allenatore come Di Francesco che gli fa anche da padre e zio, pensa a tutto e tutto gli perdona, un’ altra è avere di fronte un allenatore come Roberto Mancini che, magari, dopo qualche intemperanza ti toglie di squadra. Ok, sono proprio curioso di vedere quale strada sceglierà.

 

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